mercoledì 16 maggio 2012

A single man

A single man

(Tom Ford, 2009)


1962, California: George Falconer è un professore inglese omosessuale che insegna letteratura, e che ha perso il suo compagno, Jim, dopo sedici anni di convivenza. Il film si svolge durante una giornata, durante la quale George è alle prese con se stesso, i suoi ricordi, i suoi studenti, nuovi entusiasmi in cui cerca di dimenticare il proprio dolore.

 Mentre per I ragazzi stanno bene avevo detto che bisognava mettere da parte i propri pregiudizi, qui non sento il bisogno di consigliarlo; l’importante non è l’omosessualità del protagonista, ma tutto ciò che si sviluppa intorno ad essa. Si tratta di un film talmente perfetto, talmente coinvolgente e catartico che qualsiasi barriera cade; si viene travolti da un’ondata di sensazioni a vari livelli, intellettuale, emotivo, visuale ed uditivo. Si tratta, come si sarà capito, di uno dei miei film preferiti in assoluto.

 A single man è tratto al romanzo di Christopher Isherwood, Un uomo solo. Io ho letto il libro dopo aver visto il film e anche quello è un capolavoro, ma ci sono alcune lievi differenze e il film è decisamente più raffinato ed elegante, mentre il libro è più cinico e grezzo in alcune parti.
Tom Ford, il regista, commenta così il romanzo: "Ora che ho quasi cinquant'anni, il libro risuona in me in modo completamente diverso,. E' una storia profondamente spirituale, un giorno della vita di un uomo che non riesce a vedere il proprio futuro. E' un racconto universale su cosa significa affrontare l'isolamento che proviamo tutti, e sull'importanza di vivere nel presente e comprendere che le piccole cose della vita sono in realtà le grandi cose della vita."
Il film racconta una giornata della vita di George Falconer, riuscendo tuttavia a toccare  e a far luce su quelli che sono i punti cardine della sua esistenza, i temi a lui cari e le persone che più ha amato.
 Ogni minimo dettaglio del film è curato con la massima attenzione, i dialoghi non sono molti, ma ogni volta che un personaggio apre la bocca, si ha la tentazione di correre a segnarsi quella frase pregna di significato, si ha voglia di ripeterla, masticarla fino a sentirla propria, si ha voglia di ragionarci sopra e poterla condividere di qualcuno. Il regista di questo film è Tom Ford, ex-stilista di Gucci e al suo primo lavoro cinematografico. E forse è questa la vera forza del film, Tom Ford non segue nessuno stile, ma crea il proprio e ogni inquadratura è un’opera d’arte. Le simmetrie, i colori, i vestiti color pastello, gli zoom, i rallenty, perfino le comparse. Ogni elemento è quello giusto nel momento e nel posto giusto. Il regista ha voluto creare un’empatia tra George e lo spettatore e si può notare un aumento dell’intensità del colore  quando il protagonista è più esposto emotivamente. La telecamera segue lo sguardo si George, si sofferma sui particolari che lui nota e i colori si accendono: credo che nessuno che abbia visto il film possa dimenticarsi dell’azzurro degli occhi di Kenny o del rosa acceso delle labbra di Carlos o del rosso del sangue che cola sul volto di Jim. Infine, il regista si concede un elegante bianco e nero per alcuni dei ricordi di George, anche questo perfetto e ricercato: anche la scena di George e Jim sulle rocce rimane impressa, come se fosse una bellissima location di un set fotografico. L’occhio dello stilista si fa sentire prepotentemente e ogni particolare degli anni ’60 è curato nei minimi dettagli: gli occhiali di George, i capelli e il trucco di Charlotte, il maglioncino di Kenny, il vestito della figlia della vicina di casa, la divisa da marinaio di Jim; gli stessi ambienti: come la grandiosa casa di George, tutta legno e vetrate o il pub in cui George e Jim si sono conosciuti, affollato e colorato, la casa di Charlotte, arredata col gusto di una donna sola che vive nel ricordo dei suoi anni d’oro, o la stazione di servizio in cui George incontra Carlos, dove tutta la scena si svolge con allo sfondo un enorme cartellone che ritrae una scena di Psycho. Dettagli che però si fanno notare e che non smettono mai di sbalordire, ma che non fanno perdere di vista la trama e il significato più profondo del film e che, anzi, lo arricchiscono.
Infine abbiamo la colonna sonora, che si incastra alla perfezione con tutti gli altri elementi: anche questa raffinata a di stile, eseguita da un’orchestra classica.
Vorrei soffermarmi sul significato del film, un po’ più sulle singole scene, ma non vorrei togliere la sorpresa e il pathos che questo film trasmette. E’ un film da gustare in solitudine, prezioso non solo per la sua funzione tragica e purificatoria, ma anche per la sottile e amara ironia che tuttavia fa sorridere; un film in cui ognuno può rimanere colpito da ciò che più gli è affine, in cui può interpretare certi elementi in modo peculiare.
Abbiamo George, un insegnante alla Robin Williams ne L’attimo fuggente, solo più realista, con un tocco di freddo umorismo inglese in più. All’inizio della sua giornata, una terribile giornata, l’ennesima senza Jim, cerca di adeguarsi all’immagine di se stesso che la gente è abituata a riconoscere. La realtà è che non si tratta di una giornata qualunque, perché quel giorno George ha deciso di suicidarsi. In università, fa quello che nessuno si accorge essere un discorso d’addio (e uno dei monologhi cinematografici più belli che io abbia mai sentito), vuole lasciare qualcosa di concreto ai suoi studenti, vuole dire qualcosa in cui crede davvero: parla della diversità, delle minoranze e di come la gente abbia paura di esse. Tutta la sua giornata è vissuta con la prospettiva della morte imminente: la visita all’amica di sempre, Charlotte, che dice che vivere nel passato è il suo futuro; lei è il simbolo della giovinezza passata di entrambi, della stasi del ricordo. E questa è la prima metà della giornata di George, ricordi di cui Jim è il protagonista, ricordi in cui l’elegante e superato George, che legge le Metamorfosi, che è nato in Inghilterra e che va a letto con le donne, ma si innamora solo degli uomini, trova il suo perfetto completamento nel pagano e giovane Jim, che legge Colazione da Tiffany, che ha una madre stupida e felice e che va a letto solo con gli uomini.
Un momento di sollievo viene dato dall’incontro con Carlos, un giovane prostituto spagnolo di cui George non approfitterà. Questa parte non è presente nel libro, ma il ruolo di Carlos è fondamentale perché rappresenta il primo spiraglio di luce, la prima via d’uscita dal rimpianto del passato: Mia madre dice che gli amori sono come gli autobus. Basta che aspetti un po’ e ne arriva un altro, comunica a George.
Sembra che poco a poco George ritrovi la voglia di vivere. All’inizio del film George dice che i momenti veramente importanti della vita sono quelli che il fiato te lo tolgono. E qui entra in scena Kenny, un suo studente, emblema della giovinezza e della vita pienamente vissuta. Kenny e George passato un’intera notte insieme a chiacchierare ed è qui che si fanno le riflessioni più importanti, sulla vita, la morte, il passato, il presente e il futuro, credo che queste scene siano la vera chiave di lettura del film. Un intero film in attesa della morte che ha il suo momento più alto in un’esaltazione della vita, del carpe diem come lo intendevano i latini; perché la presenza della morte è sempre lì che aleggia, ma questo deve essere uno sprone a godere di ciò che abbiamo nel presente.
A single man, almeno per me, ha una funzione catartica, che ti prepara ad un finale ineluttabile. Forse. Così crede lo spettatore, perché al finale c’è un colpo di scena, viene esercitata una sorta di ironia tragica che conferma l’alto livello di questo film, in cui nulla è scontato.
Un’ultima parola riguardo agli attori, che sono il valore aggiunto del film, senza alcun dubbio. George è Colin Firth nella sua migliore interpretazione di sempre, nominato all’Oscar per migliore attore protagonista e vincitore della Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile. Si tratta di un Colin Firth invecchiato, brizzolato, che dà spessore a un ruolo decisamente non semplice, in cui gli sguardi e i gesti contano tanto quanto le parole. Jim è Matthew Goode, di cui Tom Ford ha saputo valorizzare maggiormente i pregi e l’avvenenza di quanto abbia fatto un regista del calibro di Woody Allen in Match Point. Charlotte è un’elegantissima e raffinata Julianne Moore, perfetta al fianco di Colin Firth. Kenny invece è interpretato da Nicholas Hoult, il ragazzino di About a boy, che ha lavorato come modello per lo stesso Tom Ford e qui delicato e pieno di grazia, a livelli recitativi che raggiungerà difficilmente in futuro.
Essendo curato ogni dettaglio nei minimi particolari, lo stesso vale perfino per le comparse, tant’è che Carlos è Jon Kortajarena, anch’egli modello, affascinante ed esotico quanto basta, e l’assistente di George viene interpretato da Lee Pace, che presumo sia stato notato da Tom Ford in The Fall, film di tre anni prima, anch’esso notevole, oltre che per il resto, dal punto di vista visivo e coloristico. 


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