War horse
(Steven Spielberg, 2011)
Un piccolo possidente del
Devon compra ad un asta un cavallo per 30 sterline (un prezzo spropositato).
Per evitare che il cavallo venga rivenduto o ucciso, Albert, il giovane figlio
del possidente, che gli si è subito affezionato, lo alleva e gli insegna a
dissodare il terreno. Tuttavia, allo scoppiare della Grande Guerra, il padre,
travolto dai debiti, è costretto a vendere il cavallo, Joey, all’esercito
inglese. Joey diventerà quindi il cavallo da guerra del generale Nicholls, che
promette di averne cura, ma che morirà in uno scontro in Francia. Da quel
momento in poi Joey passerà di padrone in padrone: due ragazzi dell’esercito
tedesco, che però vengono fucilati per diserzione; Emile, una ragazzina francese
che vive da sola col nonno; di nuovo l’esercito tedesco che sottrae brutalmente
il cavallo alla ragazzina; infine tornerà all’esercito inglese dopo essere
riuscito a scappare ed essere stato salvato dalla terra di nessuno, impigliato
fra i ferri.
Nel frattempo, Albert,
diventato maggiorenne, può anche lui arruolarsi nell’esercito. Resta solo da
scoprire se lui e il suo amato Joey riusciranno a ritrovarsi.
War horse è stato tratto
dall’omonimo romanzo di Michael Morpurgo ed è stato candidato a sei premi Oscar
(ma non ne ha vinto nemmeno uno, chissà come mai).
Spielberg mette in scena una
sorta di Odissea, una saga epico-equina, in cui si intrecciano le storie, tutte
commoventi, di moltissime persone. Nonostante l’inizio del film sia un po’
lento e pesante, viene supportato da magnifici paesaggi (teoricamente
britannici, in realtà statunitensi e indiani) e dai forti sentimenti che
vengono mostrati nel film che che lo stesso spettatore si trova a condividere.
Con lo scoppiare della guerra, il ritmo del film si fa leggermente più
incalzante, i drammi dei vari personaggi sono maggiormente sentiti, mentre
all’inizio si trattava solo dell’affetto di un ragazzino che non vuole perdere
il suo cavallo. Veniamo travolti da storie familiari e umane tutte abbastanza
strazianti.
Molto riuscita, a mio parere,
la scelta di Spielberg di utilizzare attori inglesi, francesi e tedeschi per
intepretare personaggi della rispettiva nazionalità, che rende tutti gli
scenari più verosimili. Inoltre il messaggio che viene trasmesso dal film è che sia i buoni che cattivi si possono trovare in entrambe le fazioni. Non c'è un popolo che incarna il Bene e un altro che incarna il Male (anche se la storia è vista dalla prospettiva inglese).
Gli attori li ho trovati tutti
molto bravi, sebbene, per motivi di tempo si trovino a fare delle brevi
comparse. Tra i più famosi (e bravi): David Thewlis (ultimamente celebre per
essere il Remus Lupin nella saga di Harry Potter) che compare all’inizio come
antipatico signorotto locale, Benedict Cumberbatch (l’altrettanto celebre
Sherlock Holmes della BBC) e Tom Hiddleston (conosciuto principalmente per il
ruolo di Loki in Thor e in The Avengers), che intepretano due generali
dell’esercito britannico. L'unico attore che non mi ha particolarmente convinto è stato il protagonista, Jeremy Irvine, che però è alla sua prima esperienza cinematografica.
Nonostante le buone premesse,
l’ottimo cast e i meravigliosi paesaggi, trovo che Spielberg abbia cercato il
pathos e la tensione emotiva a tutti i costi e che questo risulti fin troppo
evidente. Ogni personaggio che compare nel film, porta con sé una storia
drammatica e strappalacrime, che ce lo fa prendere immediatamente in simpatia, e che subito
dopo muore, altrettanto tragicamente. Tutto questo corredato da battute
appositamente ricche di sentimento
(troppo!) e da una storia d’amore equina, in cui i cavalli dei due generali
britannici non fanno che cercare di sacrificarsi l’uno per l’altro. Ho trovato
che il film fosse un susseguirsi di cliché cinematografici (che, appunto, si
sono già visti in altri film), che vengono qui messi in vetrina tutti insieme,
con l’evidente scopo di communovere lo spettatore.
Su internet girava una
simpatica parodia del titolo, My lovely
horse. Sì, perché oltre a tutto il resto, c’è l’esagerato e poco credibile
affetto che Albert prova per questo cavallo, il suo desiderio di rivederlo che
diventa la sua unica priorità. E questo sentimento di rispetto, affetto,
attaccamento a Joey (che presenta caratteristiche e sentimenti quasi umani) lo
prova qualsiasi altro essere umano che entri in contatto con lui: ad esempio, l’unico
momento in cui tedeschi e inglesi collaborano avviene quando tentano di
liberare Joey dal filo spinato. E’ davvero possibile che la guerra si fermi per
salvare un cavallo?
Gli aspetti positivi del film
sono l’ottima capacità di intrecciare tante storie diverse e di riuscire a dare
loro completezza in un tempo comunque breve, di riuscire a caratterizzare ogni
singolo personaggio e di riuscire a farci affezionare ad esso.
Tuttavia, forse per l'eccessiva aspettativa di cui era stato caricato il film, io ho trovato che
Spielberg abbia calcato un po’ troppo la mano. La storia effettivamente bella e
commovente e (almeno dalla seconda parte) decisamente piacevole, solo che trovo
eccessivi e artificiosi il lirismo e il pathos presenti in quasi ogni scena.
W LOKYYYYYYYYYYYYYYYYYYYY CHE MUORE SUBITO!!! <3<3<3
RispondiEliminaCarissimo fratello, please, scrivi commenti intelligenti, che questa è una recensione seria.
Elimina:p
ma io no...
EliminaMi ha attirato il trailer di questo film, dev'essere carino.
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