mercoledì 20 giugno 2012

Midnight in Paris


Midnight in Paris

(Woody Allen, 2011)


Gil, uno sceneggiatore di Hollywood,  e la sua fidanzata Inez sono in vacanza a Parigi, una città di cui Gil è follemente innamorato e dove crede che troverà l’ispirazione per il suo libro.
Sentendosi sminuito dagli amici e i genitori di Inez, Gil si ritrova a passeggiare da solo nella notte parigina e, salito su un’automobile misteriosa, viene trasportato magicamente nei ruggenti anni venti parigini. Lì incontrerà celebri scrittori e artisti che lui ammira particolarmente. Si pone solo un problema: è il caso di tornare a casa o no?



In questi giorni non ho visto film che mi hanno colpita particolarmente, né in bene né in male. Al cinema non ci sono andata e sopravvivo con i film inaspettatamente interessanti che la sera vengono passati su Rai Movie, Rai 5 o Iris (anche se la maggior parte sono in seconda serata).
Comunque mi sono regalata il dvd di Midnight in Paris, che è appena uscito. Anche se con questo film ho un rapporto piuttosto conflittuale. Ok, molto conflittuale.

Midnight in Paris è il terzo film che Allen dedica alle più belle città europee: Match Point a Londra, Vicky Cristina Barcelona a Barcellona, To Rome with Love a Roma e, naturalmente, Midnight in Paris a Parigi.
I primi due sono davvero belli e riescono a sondare le profondità dell’animo umano, dove si nascondo gli istinti peggiori, e in entrambi il destino sembra essere ineluttabile. Due film davvero ottimi, soprattutto Match Point.
Invece, in Midnight in Paris e To Rome with Love entrano in gioco dei fattori, già presenti negli atri due film, che qui però si ritrovano in dosi molto più massicce, sono davvero fastidiosi, e che risaltano anche per la macanza di una trama centrale davvero portante: l’utilizzo spropositato di luoghi comuni e preconcetti sulla città protagonista e le persone che la abitano, gli spiegoni alla fine del film e personaggi che sono macchiette o poco più.
I punti forza del film sono gli attori e Parigi. Parigi è una delle mie città preferite e nel film viene ritratta in tutto il suo splendore, soprattutto nei primi minuti (che in molti trovano inutili, ma che io ho apprezzato molto), in cui vengono fatti vedere i luoghi più caratteristici della capitale francese e servono per trasportare lo spettatore nell’atmosfera magica e un po’ bohemien che caratterizza tutto il film. Inoltre come non citare la piccola parte ambientata nel Musée Rodin (di cui purtroppo si vede poco), che è uno dei posti più affascinanti della città?
 L’idea fulcro del film è molto intrigante e ha il suo fascino: poter tornare indietro nel tempo, negli anni che per te sono i più gloriosi e poter conoscere i tuoi idoli, persone che hanno fatto la storia.
Questa è una prospettiva che mi ha sempre attratta molto e credo che valga lo stesso per tutti coloro che sono appassionati di una qualche forma d’arte. E qui Allen se la gioca abbastanza bene per il fatto che l’idea viene trasportata su due livelli: Gil, il protagonista, si rotrova negli anni ’20, Les années folles. Lì incontra Adriana e con lei si ritrova nuovamente catapultato nella Belle Époque, quella che per Adriana è la vera età dell’oro. Il ragionamento è molto semplice: se Adriana, che vive negli anni’20, anni magici per Gil, si sente fuori posto e fuori epoca, non riesce a percepire l’unicità del suo tempo e preferisce la fine ‘800, allora forse non esiste un tempo che sia perfetto. La morale della storia è che quindi bisogna imparare a vivere nella propria epoca, con i suoi pro e con i suoi contro, e soprattutto bisogna imparare a vederne e apprezzarne le ricchezze, che forse noi diamo troppo per scontato. Sarebbe troppo facile scappare in un mondo da sogno, che comunque noi idealizziamo fin troppo, proprio perché non ci viviamo.
Idea carina e funzionante, se non fosse che questo concetto, a cui ognuno può facilmente arrivare per conto proprio, venga spiegato per filo e per segno dal protagonista alla fine del film (un’happy ending un po’ forzata che ci potevamo risparmiare), rovinando l’atmosfera incantata che fin lì ci aveva accompagnati. A me non piacciono gli spiegoni finali (che in To Rome with Love raggiungono il loro apice), a me piace quando le cose non vengono dette, ma vengono fatte intuire: il regista mostra la sua bravura e lo spettatore si sente più intelligente
Infine gli attori: il cast è ECCEZIONALE. Come al solito Allen si circonda degli attori più in voga del momento: abbiamo un Owen Wilson protagonista che è perfetto per la parte dello scrittore con la testa tra le nuvole (in molti hanno detto che Allen ha scritto questa parte pensando a se stesso ma che, data l’età, non ha potuto interpretarla e quindi Wilson finisce per essere una sorta di Allen versione ringiovanita, e non è del tutto falso). Poi abbiamo Rachel McAdams che interpreta la sua fidanzata, ed è fastidiosa al punto giusto. Impossibile da non citare, anche se ha una parte minore, Michael Sheen (bravissimo!), che interpreta un amico della coppia protagonista, e che rappresenta l’ideale d’uomo di Inez: molto colto, quasi tuttologo, ricco, francamente un po’ pedante e decisamente insopportabile. Diciamo che è il perfetto opposto del protagonista, che invece è un sognatore. Adriana, la misteriosa e affascinante donna del passato, amante di Picasso, Modigliani ed Hemingway e che strapperà il cuore anche al protagonista, è una favolosa Marion Cotillard, attrice francese tanto bella quanto brava, forse la scelta più riuscita del film, sensuale ma non volgare, seducente ed enigmatica.
Dopodiché abbiamo una carrellata infinita di attori anche piuttosto famosi che interpretano grandi nomi del passato. Purtroppo, appunto, la maggior parte abbiamo appena il tempo di vederli, perché possano gentilmente farsi da parte per fare spazio all’artista successivo. Qui ho notato un certo compiacimento da parte di Allen che sembra aver inserito quanti più nomi gli è stato possibile, senza dare il giusto spazio per esprimersi a nessuno. Risalta solo Hemingway a cui viene fatto fare uno strabiliante monologo sull’amore (qui la scena, è davvero meravigliosa), ma gli altri passano più in sordina. Tra i più famosi possiamo citare: Gertrude Stein interpretata da Kathy Bates, Adrien Brody è Salvador Dalì, Tom Hiddleston un azzeccatissimo F. S. Fitzgerald (sì, è  uno dei miei attori preferiti ed è bravo, bravissimo!), Alison Pill è Zelda Fitzgerald, Yves Heck è Cole Porter e Corey Stoll un carismatico Ernest Hemingway.
Ah, e come non dimenticarci del dimenticabilissimo ma chiacchieratissimo cameo di Carla Bruni come guida del Musée Rodin?

Per il resto la storia è davvero carina e piacevole, sembra davvero di vedere una fiaba per adulti e alla fine il film ti lascia un senso di serenità e appagamento. 
Inoltre le varie epoche sono rappresentate con un'efficacia strabiliante, gli ambienti sono ricostruiti con maestria e sembra davvero di trovarsi lì con Hemingway e i Fitzgerald. 
Tuttavia non è un film da Oscar. Carino e simpatico, ma tutto finisce qui. Invece Midnight in Paris è stato candidato a 4 premi Oscar e ha vinto quello per migliore sceneggiatura originale. E questo mi ha fatto proprio arrabbiare, perché mi dispiace, ma il nome di un regista famoso non è un sinonimo di garanzia e non bisogna premiarlo solo per questo. La sceneggiatura non ha del geniale come alcuni vecchi film di Allen. È piuttosto lineare e non ci sono battute poi così argute.

Quindi lo consiglio? Certo che lo consiglio! È veramente piacevole e rilassante, solo, non pensiate che sia un capolavoro.


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