lunedì 18 giugno 2012

Gocce d'inchiostro - Il porto di Toledo

Non mi era mai capitata fra le mani una lettura così sconvolgente; credetemi, non lo dico per amor di drammaticità. Non si tratta dei contenuti, è il romanzo nella sua interezza ad essere tanto disarmante. Sto forse cercando di spaventarvi? No di certo: ma ammetto che di fronte a quest’opera mi sento quanto meno intimidita. Eppure continuo a tornarvi col pensiero, è più forte di me; per questo motivo voglio parlarvene! Se cercate un libro fuori dal comune vi assicuro che non ne troverete altri come “Il porto di Toledo”.
Anna Maria Ortese si esprime con un linguaggio personalissimo, fortemente ellittico e in parte inventato: tralascia verbi, omette articoli, utilizza un lessico in cui termini esistenti assumono arbitrariamente accezioni del tutto diverse (qualche esempio: “espressività” per poesia, “rendiconto” per racconto, “marine” per marinaio…). L’oggetto della narrazione sono gli incontri, le esperienze, la vita dell’Ortese; vita che l’autrice racconta però completamente trasfigurata in senso fantastico, trasportando la Napoli nella quale è cresciuta in un’immaginaria Toledo dall’atmosfera misteriosa e conturbante. Ad ogni personaggio viene fatto dono di almeno tre nomi: Anna Maria stessa diventa Dasa, Damasa, Toledana, Figueira…
Qualunque oggetto, luogo, figura esprime la propria faccia superficiale normalmente visibile, più una nascosta e arcana, che esiste dalla notte dei tempi e rimarrà eternamente inalterata. Il brano acquista senza sosta svariati livelli semantici, che il lettore è chiamato ad interpretare e accostare per creare un grande, stupefacente affresco prima celato. Perdonate l’esempio del tutto inadeguato, eppure credo riesca a render bene l’idea: per chi di voi abbia letto “La Bussola d’Oro” di Philip Pullman, la lettura de “Il Porto di Toledo” va affrontata nello stesso modo in cui Lyra decifra l’aletiometro.  Ogni disegno (nel nostro caso parola o frase) racchiude in sé innumerevoli significati, che vanno combinati fra loro per portare alla luce il senso complessivo.

Non vi mentirò: a volte mi è capitato di fermarmi a riflettere su quello che avevo trovato scritto, e pensare che l’autrice non fosse nel pieno delle sue facoltà mentali. Altre volte, però -queste molto più frequenti- sono arrivata a sentirla vicina, a comprendere intimamente i suoi pensieri, a condividerne le emozioni più profonde, da lei espresse senza remore nel romanzo.
E’ davvero difficile da spiegare; credo che l’Ortese fosse una di quelle persone che hanno il dono –e insieme la dannazione- di percepire la realtà circostante in modo viscerale, infinitamente più acuto e penetrante rispetto alla la gente comune. La sua capacità di scomporre e interiorizzare i moti d’animo di chi la circonda è strabiliante, indizio di una sensibilità più unica che rara.

Sinceramente, non saprei se consigliarvi o meno questo libro. Di sicuro non è per chi cerchi una lettura leggera, che scorra velocemente e con facilità; è un romanzo impegnativo, che costringe a mettersi in gioco. A mio parere, però, vale davvero la pena di spendersi un po’ e, una volta tanto, scegliere di affrontare un romanzo tanto complesso quanto speciale; la ricompensa è un’esperienza totalizzante che trascende l’aspetto letterario per giungere a coinvolgere il lettore in prima persona. Davvero impagabile.

Francis

2 commenti:

  1. Ipotizzo un suggerimento del Clerici? Lui adora l'Ortese! :) Io non ho mai letto nulla di suo, ma recupererò!

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    1. Sì, hai indovinato! Se vorrai iniziare a leggere qualcosa di suo dimmelo; ti darò qualche linea guida sulla letteratura dell' Ortese, altrimenti è davvero difficile decifrarla =)
      Francis

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